La vite ha delle esigenze ben precise (illuminazione, evitare il ristagno idrico, terreni non troppo feritili ma con buona dotazione di potassio ecc) e, se le trova nell’ambiente in cui viene messa a dimora, cresce e produce senza la necessità di troppi interventi. Per secoli i vignaioli hanno seguito il principio della vocazione e scelto per ogni coltura l’areale che meglio si adattava.

IL  VIGNETO BIOLOGICO

Per essere efficiente e gestibile, un vigneto biologico deve seguire la vocazione dei territori; in pratica un vigneto bio verrà messo a dimora nelle aree, sui terreni e con l’esposizione più adatta a produrre uva di qualità con il minimo intervento umano, ovvero con rare necessità di irrigazione (risparmio idrico), di fertilizzazione (salvaguardia della fertilità del terreno), di interventi fitosanitari (tutela dell’ambiente) e salvaguardia dell’infrastruttura ecologica come siepi, capezzagne e aree boscate (preservazione del paesaggio). Inoltre le varietà autoctone sono quelle meglio adattate all’ambiente, quindi va ovviamente privilegiata la loro coltivazione (tutela della biodiversità).

Per un vigneto bio produttivo vanno preferiti i pendii soleggiati dove si auspica una buona disponibilità idrica e si evitano i fondovalle, dove l’umidità si protrae per lunghi periodi e incrementa le possibilità di attacco di malattie dannose per le viti.

Dalla combinazione varietà + condizioni climatiche sono nate le aree a Denominazione di origine controllata (DOC), Denominazione di origine controllata e Garantita (DOCG), nonché quelle a Indicazione Geografica Protetta (IGP).

Fonte: Il vino meglio se è bio. AIAB Calabria, 2015.