La salubrità e la tranquillità dei luoghi di campagna sono gli elementi ideali per accogliere e curare persone in difficoltà, afflitte per esempio da patologie funzionali (le cosiddette patologie storiche, quali ansia, depressione ecc.) ossia derivanti da un’alterazione dell’identità personale causata da un’inadeguata riconfigurazione della propria esperienza, o persone con disagi sociali o ancora persone con disabilità organiche (disturbi non storici, come autismo, schizofrenia ecc.).

Montecassino in Italia, Cluny in Francia, Monserrat in Spagna costituiscono significativi esempi di hortus conclusus.

L’idea di giardino terapeutico quale luogo di cura, affonda le radici nella storia antica: in Egitto si progettavano giardini per pazienti afflitti da malattie mentali, e i giardini dei monasteri e delle abbazie dell’Europa medievale, oltre ad offrire un luogo tranquillo ed appartato, svolgevano anche una funzione rigeneratrice e venivano definiti, per l’appunto, hortus conclusus (traducibile in italiano come “giardino recintato”). Il giardino terapeutico rappresenta la risposta al bisogno della persona di stare a contatto con la natura e i processi naturali di crescita e di rinnovamento. L’esigenza di creare giardini di questo tipo è riaffiorata alla fine del XX secolo perchè nonostante i notevoli risultati ottenuti nei campi della chirurgia, della chemioterapia e della tecnologia laser la componente psicologica connessa alla malattia non può essere trascurata. In questo senso il giardino terapeutico offre una concreta risposta su questo versante.

Con “Orticoltura terapeutica” si riferisce a qualsiasi uso di attività orticole per benefici terapeutici, sia auto-avviata o prevista nell’ambito della programmazione ricreativo, sociale, o professionale. Queste attività possono verificarsi in una varietà di impostazioni e sono appropriate per individui di qualsiasi livello di età o abilità. Aspetti potenziali positivi di orticoltura terapeutico includono la riduzione dello stress, l’empowerment del cliente, e il miglioramento dell’umore, oltre alle prestazioni fisiche e cognitive.

È dimostrato che la risposta alla cura è favorita dal contatto con un ambiente naturale, basti pensare che negli Stati Uniti esistono oltre 150 ospedali dotati di giardini usati in programmi terapeutici. La ricerca del Dr. Roger Ulrich, psicologo ambientalista del Texas A &M College of Architecture, ha intrapreso un progetto di ricerca della durata di dieci anni focalizzato sulla relazione fra benessere del paziente e l’ambiente. Ha riscontrato che i pazienti le cui stanze si affacciano sui muri di mattoni necessitano di una maggior quantità di analgesici e di tempi di recupero più lunghi rispetto ai pazienti che dal loro letto vedono un paesaggio naturale. Studi analoghi dimostrano che la luce solare e il contatto con il mondo naturale riducono il livello di ansia nel paziente.

Lavorare a stretto contatto con la natura, nei giardini terapeutici, non rappresenta una terapia esclusiva, ma uno strumento “in più” da abbinare alle cure tradizionali e quanto altro richiesto dal percorso terapeutico di ogni singolo caso. I risultati sono raggiungibili soltanto con percorsi terapeutico-riabilitativi specifici, mirati e lungimiranti, progettati e sviluppati grazie alla collaborazione di precise figure professionali. Con riferimento a pazienti con disfunzioni e disagi di natura neuropsicologica, l’ampia letteratura disponibile nell’ambito ha analizzato gli effetti positivi sui pazienti derivanti da un’interazione attiva con le piante:

  • Riconoscere e gestire le emozioni: l’emozionar-si è il significato incarnato della situazione in corso, il sentimento globale di Sé che emerge dal trovarsi in uno specifico contesto ed inserito in specifiche interazioni; la tranquillità “naturale” generata dalla campagna, offre tempo e occasioni ai fruitori delle terapie di riconoscere la propria emotività, imparando a gestire le sensazioni, gli stati d’animo, a esprimere le proprie emozioni e ri-orientarsi di conseguenza in nuovi progetti di vita.
  • Favorire la socializzazione: l’individuo è inserito, in tal contesto, all’interno di un gruppo di lavoro dove si perseguono intenti comuni e si svolgono attività insieme ad altri condividendo spazi, strumenti, fini ed obiettivi.
  • Migliorare capacità cognitive: imparare i nomi delle piante, apprendere nozioni spazio-temporali, come ad esempio la ciclicità delle stagioni e i tempi adatti alla semina e al raccolto, organizzare lo spazio dell’orto sono tutte attività che incrementano le capacità generali di apprendimento e allenano l’intera sfera cognitiva dell’individuo coinvolto, stimolando e migliorando la memoria a breve e lungo termine, l’orientamento nel tempo e nello spazio, la capacità di calcolo, l’attenzione e il linguaggio.
  • Sviluppare motricità: le principali attività agricole stimolano sicuramente il movimento, contribuendo a migliorare le capacità di controllo, uso e dosaggio della forza, ad esercitare la motilità fine, l’intenzionalità dei movimenti uni e bilaterali, i movimenti bi-manuali, la coordinazione occhio-mano, a migliorare la resistenza muscolare.
  • Aumentare la possibilità di sentir-si: seminare, veder crescere una pianta, aiutarla a fiorire stimola l’iniziativa, abitua a prendere decisioni; il contatto diretto con la natura e la terra fanno sì che l’individuo progressivamente acquisisca competenze e abilità che lo aiutino a “sentir-si”, a mantenere la comunicazione vitale che la persona tiene con il mondo, facendola sentire situata nel qui ed ora, aiutandola positivamente nel fare esperienza.
  • Orientare al mondo del lavoro: al termine di alcuni percorsi si acquisiscono realmente capacità e metodi di lavoro utili anche per poter poi svolgere delle attività professionali legate al lavoro nelle aziende agricole.

AIAB Calabria, 2015. Diversificazione e multifunzionalità dell’azienda biologica.