Il Triticum, conosciuto meglio con il nome di Frumento o Grano, appartiene alla famiglia della Graminaceae o Poaceae. Sin dalla sua diffusione nel Mediterraneo è stato un’ottima alternativa al farro; oggi è il cereale più diffuso e coltivato in Europa. Viene solitamente distinto in frumento duro e frumento tenero.Quello tenero (Triticum aestivum) è originario del Medio Oriente dal quale, nel Neolitico, si diffuse in Europa. La culla di origine del grano duro (Triticum durum), è invece, l’Africa centro-orientale (Etiopia).

Caratteristiche

La pianta presenta un fusto eretto, costituito da 5-8 nodi e altrettanti internodi, cavi al loro interno; l’altezza del culmo o fusto (60-90 cm) varia in funzione della varietà e delle condizioni pedoclimatiche.

Le foglie sono costituite dalla guaina che avvolge il culmo, dalla lamina lanceolata parallelinervia e, nel punto di congiunzione tra le due, dove la lamina si distacca dal fusto, dalla ligula e da due auricole. Il numero delle foglie, variabile da 5 a 8, è legato a fattori genetici, ma anche ambientali. La presenza dell’ultima foglia apicale, situata immediatamente sotto la spiga (foglia a bandiera), è essenziale nella fase di formazione delle cariossidi in quanto svolge una funzione di protezione.

L’infiorescenza è una pannocchia spiciforme chiamata volgarmente spiga. È costituita da un asse centrale (rachide) sul quale sono inserite le spighette (18-20 per ogni spiga). Ogni spighetta è racchiusa da due glume all’interno delle quali sono presenti da 3 a 8 fiori. Ogni fiore è costituito da 2 glumelle o glumette, una superiore (palea) e una inferiore (lemma), che racchiudono 3 stami e il gineceo, costituito da un ovario monocarpellare portante 2 stili piumosi.

La glumella inferiore può portare all’apice un prolungamento detto arista o resta. Per il frumento tenero questa è una caratteristica varietale: le varietà che presentano glumelle con reste si chiamano aristate, le varietà sprovviste sono dette mutiche. Tutte le varietà di grano duro, invece, hanno spighe aristate.

L’apparato radicale è di tipo fascicolato con radici concentrate nei primi 25-35 cm di suolo, quindi è essenzialmente superficiale.

Il frutto del frumento è una cariosside di forma ellittica, ovoidale con gradazioni di colore che vanno dal bianco al rosso brunastro.

Principali avversità

Mal del piede (Fusarium spp.), Oidio (Erysiphe graminis), Septoriosi (Septoria tritici & nodorium), Ruggine gialla (Puccinia striiformis), Fumariosi (Microdochium nivale), Cimice (Aelia rostrata), Lema (Oulema melanopa) Afidi.

Un po’ di storia

Le varietà note sono numerosissime, nell’ordine di qualche migliaio. Derivano tutte da graminacee addomesticate nell’area compresa tra il Mar Mediterraneo, il Mar Nero e il Mar Caspio, meglio nota come Mezzaluna Fertile. Il frumento fu, infatti, tra le prime piante ad essere coltivate. La sua coltura ha spinto le prime società umane a forme di organizzazione più complesse, costituendo reti di canali per estendere la coltivazione, edificare le prime città difese per tutelare il raccolto, preparare eserciti per difendere i campi, oltre che per procurare gli schiavi per coltivare nuove superfici. Nessun’altra pianta ha pertanto influenzato la storia dell’uomo come il frumento.

La sua importanza per l’evoluzione del genere umano è testimoniata dalle credenze popolari degli antichi popoli che lo ritenevano un dono degli dei. Il grano giunse in Calabria dal Medio Oriente e dall’Egitto in epoche remote, probabilmente intorno al VII millennio a. C. Al tempo dei Greci, era utilizzato per preparare diverse tipologie di pani di frumento, ottenuti anche attraverso i processi di lievitazione. Si preparavano anche dolci impastati con il miele, simili agli odierni mostaccioli e minestre di densità variabile sino alla consistenza della polenta, come ricordano ad esempio Aristofane e Archestrato di Gela, vissuto nel IV sec. a.C.. Nonostante il suo uso rimase secondario rispetto all’orzo, il grano mantenne un grande prestigio essendo simbolo per eccellenza della divinità più venerata nella Magna Grecia, Demetra, la dea del grano.

In Calabria

Con i Romani la Calabria divenne insieme alla Sicilia e il Nord Africa, un vero e proprio granaio, funzionale a rifornire tutto l’Impero. Nel Medioevo la sua coltura si radicò al punto da diventare l’alimento principale dell’alimentazione domestica. A partire dall’XI secolo non c’è documento o fonte che non citi un campo calabrese coltivato a grano. Per tutta l’età moderna i porti di Crotone e Reggio furono essenzialmente protetti dalle incursione turchesche per assicurare l’esportazione di grano nel resto del Regno di Napoli. La sua coltura divenne capillare fin dal Cinquecento, quando si hanno le prime informazioni anche sull’abbondanza delle diverse varietà presenti in Calabria, quali la segale (Secale cereale L.), presente soprattutto nelle aree montane, o la Carusedda (Carosella) già nota al tempo dei Romani. Nel corso dei primi del Novecento si diffuse anche la varietà Cappelli, la quale nonostante fosse alta (circa 150-160 cm), tardiva e suscettibile alle ruggini, ebbe grande successo grazie alla sua larga adattabilità, alla sua rusticità ed alla eccellente qualità della sua semola. Durante il Fascismo la coltura di grano tenero divenne prevalente, a discapito di antiche varietà, economicamente più redditizie, come il Simeto, il Russello, la Timilia, e soprattutto il Verna, da cui si ottiene un pane utile a ridurre la quantità di rischi cardiovascolari.

Da tutte queste diverse varietà di grano si confezionavano pani ricercatissimi, alcuni esclusivi di feste religiose, come ad esempio il pane ai semi di finocchio, preparato in quasi tutta la Calabria il giorno dell’Immacolata, il pane di S. Antonio o la pitta, una focaccia dedicata ai defunti. Tipica è anche la cosiddetta Cuddura, portata in processione durante la settimana santa di Stilo (RC), la giuggiulena (semi di sesamo) di Reggio Calabria, la focaccia ai fiori di sambuco, preparata nella provincia di Vibo Valentia; il “Pane di Cuti”, detto anche di Rogliano, (CS) nella consueta pezzatura da 1 e da 2 kg, rigorosamente a lievitazione naturale e cotto in forno a legna; e poi ancora la pizzata di Nardodipace (pane schiacciato con peperoncino) tipico della provincia di Vibo Valentia; il biscotto di grano di Reggio Calabria, una specie di frisella più povera; il “pane di Cerchiara di Calabria” dalla forma rotonda e con un rigonfiamento laterale (rasella) ottenuto ripiegando la pasta su se stessa; il “pane jermanu”, varietà di segale dalla crosta friabile e croccante di colore scuro; ed ancora il pane ai semi di finocchio di Serra San Bruno (VV) e il pane di grano duro di Mangone, tipico della provincia di Cosenza.

 

Fonte: La tutela della biodiversità in Calabria. AIAB Calabria, 2016.

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