É nei terrazzamenti calcarei rivolti sullo Ionio che ulivi giganti e secolari producono uno degli oli più profumati della Calabria. Alla suggestione paesaggistica, che rende simile tutta l’Area Grecanica alla madre patria greca, si coniuga la sacralità dell’ulivo, da tempo immemorabile, al centro di diverse leggende che ne hanno attribuito l’origine divina.

Tra il mito e la storia

Secondo la mitologia, l’albero nacque dall’ingegno di Atena, in occasione di una disputa con Poseidone sul possesso dell’Attica. La storia narra invece che questa pianta, originaria dell’area mediterranea, fu importata dai Greci durante la colonizzazione della Magna Grecia, divenendo, insieme alla vite, uno dei principali fattori di crescita economica delle polis.

Nonostante i Romani non incentivassero l’olivicoltura, l’Olea europaeae, segnò in modo indelebile il paesaggio grecanico, tanto che lo stesso Cassiodoro, nel descrivere l’ultimo lembo della Calabria, ricorda come la natura ghiaiosa del suo terreno ben si prestava alla sua coltura.

Una rinascita lenta, legata all’autoconsumo, si coglie durante il periodo bizantino, quando l’olio è onnipresente nei miracoli operati dai santi italo greci, segno evidente dell’importanza rivestita da questo prodotto alimentare nell’economia altomedievale. Non mancano, infatti, vasti impianti, come quelli nella Valle del Tuccio, appartenuti ai monasteri di San Giorgio e Sant’Angelo, ed elencati in un documento catastale della metà dell’XI secolo.

La competizione con il gelso che predominò dalla tarda età bizantina fino a tutto l’Ottocento, segnò una battuta d’arresto dell’olivicoltura e bisognerà attendere il Seicento per riscontrare una nuova ripresa. Un primo indizio si coglie nella Platea di Motta San Giovanni, del 1620, dove la presenza di un uliveto sulla costa, evidenzia come tale coltura andò progressivamente a colonizzare terreni prima di allora lasciati incolti a causa delle incursioni turche lungo il litorale. La scarsa produzione olearia, durante l’età Moderna, si deve al consumo strettamente limitato alla sussistenza, determinato soprattutto dal fatto che le olive, insieme al pane, costituirono l’elemento base della tavola dei contadini grecanici. Lo confermano i numeri ricavabili dal catasto onciario di Bova del 1668, da cui si evince che il reddito degli uliveti era pari al 4,4% del reddito globale, molto al di sotto dei ricavati del vino, dei cereali e dei gelsi. Dai dati catastali del 1743 sappiamo infatti che l’uliveto di maggiore estensione, presente nel territorio bovese, contava solo “deci piedi di livari”. Fu solo con la decadenza dell’industria serica, alla fine del Ottocento, che l’ulivo si sostituì al gelso, consentendo all’olio, in grecanico detto alàdi, di assumere un ruolo consideravole nell’economia del territorio. La produzione dovette alquanto migliorare se già nel 1774, uno storico di Bova, così descrisse l’olio della sua terra: …“oltre la dolcezza e grassezza, l’olio, è tanto prezioso che non brugia, anzi i medici si servono più di esso che dell’olio di mandorle dolci nelle malattie”.

 L’agroecosistema

Con il metodo di coltivazione biologico assume importanza creare e/o mantenere un agroecosistema in equilibrio che presuppone la conoscenza delle caratteristiche dell’ambiente dove è situata l’azienda e che si persegue attraverso una serie di interventi che principalmente hanno lo scopo di: conservare o creare condizioni per una elevata biodiversità; mantenere/conservare il suolo, proteggendolo da agenti fisici degradativi, quali il vento e l’acqua, che possono dare luogo a problemi di erosione; creare e mantenere dei buoni livelli di fertilità del terreno, attraverso un’attenta gestione della sostanza organica e dando particolare importanza ai materiali organici presenti in azienda (es. residui colturali); valorizzare le varietà più adatte all’ambiente considerato; utilizzare in maniera ottimale le risorse naturali (es. l’acqua); condurre in maniera razionale le pratiche colturali.

Vocazionalità pedoclimatica

Nella coltivazione biologica, quando si devono realizzare dei nuovi impianti, è importante scegliere ambienti che soddisfino le esigenze della coltura (ambienti vocati), per ottimizzare il rapporto ambiente/pianta e ridurre così al minimo gli interventi colturali (concimazione, irrigazione e trattamenti antiparassitari).

Per quanto riguarda il suolo in cui impiantare gli uliveti biologici, i risultati migliori si ottengono in quelli di medio impasto, franco sabbiosi, franco-limosi, argillo-limosi o franco-limo-argillosi, aventi un pH compreso tra 6,8 e 7,5.

Per quanto riguarda il clima, le temperature minime invernali rappresentano il fattore limitante più importante per l’olivo. Sono dannose per l’olivo le gelate tardive (aprile-maggio) e/o precoci (autunnali). Riguardo ai valori massimi di temperatura, l’olivo può resistere anche a temperature > 40-45 °C.

L’olivo è una specie eliofila, ha una notevole resistenza alla siccità, dovuta a diverse forme di adattamenti anatomici e fisiologici che gli consentono di affrontare questa avversità, tanto che può sopravvivere e dare una certa produzione anche in condizioni di piovosità molto bassa (< 300 mm/anno).

Scelta varietale

Per decidere se adottare il metodo di coltivazione biologico in un oliveto esistente l’olivicoltore dovrà valutare, nell’ambiente considerato, l’adattabilità delle varietà al metodo biologico e, se si decide di procedere, mettere a punto, sulla base delle loro caratteristiche, i migliori schemi di coltivazione.

Nel caso di un nuovo impianto, occorre scegliere le varietà che meglio si prestano alla coltivazione biologica. L’introduzione, in Calabria, delle specie Sinopolese, Ottobratica e Carolea consentirono infatti la produzione di olii aromatici, ricchi di costituenti fenolici, vitamine e polifenoli, dalle riconosciute proprietà antiossidanti. A garantirne una maggiore qualità sono oggi i metodi di molitura a freddo, tipici della produzione biologica, che mantengono inalterati i più intensi profumi della Calabria Greca.

Scelta del sesto, delle distanze di piantagione e dell’orientamento dei filari

Le piante possono essere disposte in quadrato o in rettangolo. Le distanze tra gli alberi dipendono dalla varietà (vigoria), dal sistema di allevamento, dalle caratteristiche pedo-climatiche e dalla tecnica colturale applicata. É bene evitare che le chiome degli olivi, quando hanno raggiunto la fase adulta, si tocchino; infatti un’eccessiva fittezza, può portare a situazioni di eccessivo ombreggiamento, con conseguente necessità di interventi energici di potatura che possono, determinare l’insorgenza di squilibri vegeto-produttivi, con riduzione della produttività dell’oliveto. Il verificarsi di fenomeni di ombreggiamento, che causano anche una minore aerazione della vegetazione, o di squilibri vegeto-produttivi, determina anche situazioni più favorevoli all’attacco di patogeni e fitofagi.

Impianto

Prima dell’impianto è bene effettuare un’analisi fisico-chimica del terreno. Non impiantare l’olivo in terreni in cui precedentemente sono state coltivate solanacee o cucurbitacee che, essendo ospiti della verticilliosi, possono determinare la presenza di fonti di inoculo di questo temibilissimo patogeno.

Ripulitura, sistemazione superficiale e smaltimento delle acque in eccesso

Sia in caso di reimpianto, sia in caso di impianto effettuato su un campo dove precedentemente era coltivata una specie arborea, è molto importante eliminare i residui della precedente coltura. Se la superficie del terreno è irregolare bisogna livellarla e/o sistemarla, in maniera da facilitare la movimentazione delle macchine e da evitare ristagni idrici o problemi di erosione.

Fertilizzazione pre-impianto

In agricoltura biologica è fondamentale garantire un buon livello di sostanza organica, che può essere mantenuta e, in tempi molto lunghi, migliorata, attraverso la somministrazione di materiali organici, quali letame, compost, paglia, ecc., che hanno efficacia diversa ai fini della produzione di humus.

In genere, i quantitativi di letame e/o compost che occorre impiegare per la fertilizzazione di fondo sono di 60-80 t/ha e possono arrivare a 100 t/ha in terreni di medio impasto o argillosi. In caso di terreni sciolti (sabbiosi), tali quantitativi devono essere ridotti e frazionati in anni successivi perché in questi suoli si ha una mineralizzazione molto più veloce che porta ad un rapido depauperamento della sostanza organica apportata e ad una disponibilità di elementi nutritivi che può risultare anche eccessiva (soprattutto per l’azoto) nelle fasi che seguono la messa a dimora delle piante.

É sempre opportuno, soprattutto nel caso in cui non si effettui la somministrazione di letame e/o compost, apportare sostanza organica mediante il sovescio, seminando un miscuglio di graminacee e leguminose (es. orzo + favino o veccia).

Scasso

Nei casi di nuovo impianto è consigliabile effettuare la doppia lavorazione anziché impiegare l’aratro da scasso, eseguendo una rippatura fino a 80-100 cm di profondità, magari eseguita in croce, e poi un’aratura profonda 30-40 cm. La rippatura consente di mantenere in superficie lo strato più fertile del terreno. Inoltre, permette di evitare la formazione della suola di lavorazione ed il trasporto in superficie di pietre presenti in profondità. Solo nel caso di terreni molto compatti (molto argillosi), o quando si ha un profilo caratterizzato da strati con caratteristiche molto differenti ed il rimescolamento determinato dall’aratura consente di dare luogo ad un terreno con tessitura migliore per l’olivo (es. rimescolamento di uno strato argilloso con uno sabbioso), è consigliabile eseguire lo scasso classico con aratro. Lo scasso deve essere eseguito in estate.

Epoca di messa a dimora

In ambienti con clima relativamente mite come la Calabria, la piantagione dell’oliveto andrebbe effettuata in autunno o in inverno, evitando i periodi più freddi; può essere fatta anche in primavera, ma in questo caso è molto importante intervenire con irrigazioni di soccorso se dopo la piantagione si verificano situazioni di siccità. Al momento della piantagione, sul fondo della buca è consigliabile porre una piccola quantità di letame ben maturo (o altro ammendante, es. compost) o di concime organico che deve essere ricoperta con uno strato di terra prima di porre a dimora la pianta.

Potatura

La potatura di allevamento si applica nei primi anni con lo scopo di conferire alla pianta la forma scelta e di ottenere l’inizio della fruttificazione ed il completamento di una robusta struttura scheletrica nel più breve tempo possibile, riducendo al minimo i tagli cesori, mantenendo inizialmente più ramificazioni laterali di quelle che servono per creare la struttura delle piante, eliminando solo i rami vigorosi mal posizionati (es. succhioni all’interno della chioma). Nelle prime fasi di sviluppo della pianta è indispensabile proteggere i tagli con mastici protettivi al fine di evitare sin dalle prime fasi vegetative l’insediamento di funghi del legno.

La potatura di produzione ha lo scopo di mantenere la forma data con la potatura di allevamento, di equilibrare l’attività vegetativa e quella riproduttiva, e quindi di mantenere nel tempo la capacità produttiva raggiunta, e di eliminare eventuali porzioni danneggiate della chioma. Aspetto fondamentale della potatura di produzione è quello di applicare la giusta intensità, infatti, spesso si applica una potatura eccessiva che determina una riduzione della capacità produttiva delle piante, anche una potatura troppo leggera può essere dannosa, perché può determinare eccessivi ombreggiamenti nelle parti interne della chioma ed un forte consumo di acqua, creando condizioni favorevoli allo sviluppo di patogeni e fitofagi e alla possibile insorgenza di stress idrico. La potatura di produzione andrebbe eseguita tutti gli anni.

La potatura può essere eseguita durante tutto il periodo di riposo vegetativo. Nelle zone dove c’è il rischio che si verifichino dei danni da freddo, andrebbe effettuata dopo il periodo di forti gelate, perché se eseguita prima potrebbe rendere le piante più soggette ai danni da freddo. Anche il ritardo della potatura deve essere evitato, in quanto questo causa l’indebolimento delle piante, perchè insieme al materiale di potatura si allontana anche parte delle sostanze di riserva che nel frattempo sono state mobilitate dai tessuti di riserva alla chioma. I succhioni cresciuti all’interno della chioma ed i polloni alla base delle piante possono essere eliminati anche in estate.

Fertilizzazione e gestione del suolo

In agricoltura biologica la fertilità e l’attività biologica dei suoli devono essere mantenute o incrementate attraverso:

  • l’utilizzo di coperture vegetali, rappresentate dall’inerbimento permanente o temporaneo; in quest’ultimo caso notevole importanza è assunta dalla coltivazione di specie da sovescio, in particolare leguminose, che sono in grado di fissare azoto e quindi determinano un aumento netto del contenuto di questo elemento nel terreno;
  • l’incorporazione nei suoli di materiale organico possibilmente compostato proveniente dalla stessa azienda o da altre aziende che praticano il metodo dell’agricoltura biologica o, è previsto in alcuni casi dalle normative, da aziende che non applicano schemi produttivi intensivi/industriali, o acquistato sul mercato;
  • l’uso di fertilizzanti esterni all’azienda sia organici sia minerali (di origine naturale) solo se i metodi citati non siano stati sufficienti a garantire un’appropriata nutrizione alle piante coltivate; i fertilizzanti che possono essere utilizzati sono elencati nell’Allegato I del Regolamento (CE) N. 889/2008.

In base a tali presupposti, la gestione della fertilità dell’oliveto biologico richiede la messa a punto di un sistema colturale sostenibile che combini tecniche di gestione del terreno (coperture vegetali, sovesci, ecc.) e l’utilizzo dei residui vegetali con l’obiettivo di ridurre al minimo l’impiego di mezzi provenienti dall’esterno dell’azienda.

L’inerbimento consiste nel consociare all’olivo specie erbacee appositamente seminate o, nella grandissima maggioranza dei casi, specie spontanee. L’inerbimento presenta numerosi vantaggi: permette di mantenere o incrementare il livello di sostanza organica del terreno; favorisce la presenza di organismi utili che aiutano nel controllo di quelli dannosi; riduce l’erosione nei terreni in pendenza; diminuisce il compattamento del suolo causato dal passaggio dei mezzi meccanici; permette lo sviluppo anche negli strati superficiali di terreno dell’apparato radicale degli olivi; diminuisce la perdita di elementi nutritivi per lisciviazione e, quindi, i rischi di inquinamento degli strati profondi del terreno e delle falde; determina una migliore disponibilità del fosforo e del potassio e degli altri elementi nutritivi lungo il profilo del terreno; se comprende leguminose, può fornire azoto immediatamente assimilabile; agevola l’esecuzione della raccolta (più facile spostamento dei teli e movimentazione delle macchine e riduzione dei rischi di infangatura delle olive) e della potatura.

Dopo la raccolta, è opportuno eseguire una lavorazione a 10-15 cm per interrare i fertilizzanti poco mobili e favorire la penetrazione dell’acqua. Per limitare gli inconvenienti delle lavorazioni, si può sostituire la lavorazione autunnale con uno sfalcio, in modo da avere il terreno inerbito nel periodo autunno-inizio primavera; ciò, oltre a facilitare l’accesso delle macchine nei campi, è particolarmente utile in terreni in pendenza al fine di ridurre l’erosione.

Sovescio (concimazione verde)

Il sovescio può essere totale o parziale, e risulta molto importante nelle situazioni in cui l’impiego del letame non è praticabile o è difficile a causa della sua reperibilità o degli alti costi di trasporto e spargimento. Il sovescio consente apporti di sostanza organica secca fino a 4-6 t/ha, che corrispondono a 0,4-1,2 t/ha di humus. Negli ambienti meridionali ad estate lunga ed inverno mite, il sovescio risulta praticabile con numerose specie erbacee (leguminose, graminacee, crucifere, ecc.) seminate singolarmente o in miscuglio. Il miscuglio di diverse specie per la costituzione di una copertura verde da destinare a sovescio risulta in genere migliore dell’uso di una singola specie per l’effetto complementare offerto dalle diverse piante.

Fertilizzazione ausiliaria

L’uso dei fertilizzanti ausiliari esterni all’azienda sia organici che minerali (fertilizzanti in commercio consentiti per l’agricoltura biologica) dovrebbe essere limitato ai soli casi in cui i metodi sopraccitati non siano sufficienti a garantire un’appropriata nutrizione alle piante. I fertilizzanti ausiliari che possono essere utilizzati nelle coltivazioni biologiche, come già visto, sono elencati nell’allegato I del regolamento (CE) N. 889/2008.

Irrigazione

L’irrigazione è consigliata quando le limitate precipitazioni determinano condizioni critiche per il buon esito della coltura. I momenti in cui l’olivo risulta maggiormente sensibile agli stress idrici sono:

  • prefioritura, fioritura e allegazione;
  • accrescimento dei frutti per moltiplicazione cellulare (dall’allegagione all’inizio dell’indurimento del nocciolo);
  • accrescimento dei frutti per distensione cellulare (dalla fine dell’indurimento del nocciolo in poi).

I sistemi di irrigazione a microspruzzo e a goccia risultano essere i più idonei perchè hanno un’elevata efficienza, non danno luogo a perdite in profondità, e non bagnano la vegetazione. È da evitare l’irrigazione per aspersione sovrachioma.

Controllo dei parassiti

La difesa biologica è un sistema di controllo degli organismi dannosi che utilizza tutti i fattori e le tecniche disponibili per mantenere le loro popolazioni al di sotto delle soglie che comportano danni economici, nel rispetto dei principi ecologici, tossicologici ed economici. Si tratta dunque di un sistema di controllo che prevede prima interventi di tipo agronomico, fisico, meccanico e/o biologico e solo se questi non risultano in grado di garantire un accettabile contenimento dei parassiti si utilizzano i mezzi tecnici consentiti. In agricoltura biologica è essenziale creare le condizioni per limitare al massimo la presenza di organismi dannosi.

Raccolta delle olive

In caso di attacchi tardivi di mosca è opportuno anticipare la raccolta per minimizzare i danni in termini di riduzione sia della quantità sia della qualità dell’olio; ciò è particolarmente importante nelle coltivazioni biologiche.

La qualità dell’olio è fortemente condizionata dallo stato d’integrità delle olive; pertanto, nell’esecuzione della raccolta occorrerà operare in maniera da limitare al minimo i danni ai frutti. La raccolta delle olive per cascola naturale sia su piazzole appositamente predisposte sia su reti preventivamente stese sotto le piante è fortemente sconsigliata, poiché con questi sistemi si ha un forte peggioramento nella qualità degli oli. Si consiglia, invece la raccolta con mezzi meccanici o a mano ove è possibile. E’ importante che le olive appena raccolte dalla pianta vengano portate in frantoio e lavorate entro le 48 ore. La fase di stoccaggio nel frantoio deve avvenire in locali ben areati e non sottoposti ad eccessive temperature che possono favorire i processi fermentativi e putrefattivi. Si consiglia quindi lo stoccaggio delle olive in cassette in PVC forate.

Fonti: http://sebina.iamb.it.; L’altro viaggio. Itinerari nella Calabria greca. Coop. Satyroy. 2013